L’ultimo


Ormai natale è vicino.
Alberto ed io camminiamo spalla contro spalla nella lunga schiera grigia, curvi in avanti per resistere meglio al vento.
e' notte e nevica; non è facile mantenersi in piedi,  ancora più difficile mantenere il passo e l'allineamento: ogni tanto qualcuno davanti a noi incespica e rotola nel fango nero, bisogna stare attenti a evitarlo e a riprendere il nostro posto in fila.

 


Da quando sono in laboratorio, Alberto ed io lavoriamo separati, e , nella marcia di ritorno, abbiamo sempre un sacco di cose da dirci. di solito non si tratta di cose molto elevate: del alvoro, dei compagni, del pane, del freddo………………..

(………………………)   di queste cose parliamo, incespicando da una pozzanghera all'altra, fra il nero del cielo e il fango della strada. Parliamo e camminiamo. Io porto le due gamelle vuote, Alberto il peso della menaschka dolcemente piena.
Ancora una volta la musica della banda, la cerimonia del <Mutzen Ab> – giù i berretti di scatto davanti alle SS; ancora una volta ARBEIT MACH FREI, e l'annunzio del Kapo :- Kommando 98, zwei und schzing Haftligne, Starke Stimmt – sessantadue prigionieri, il conto torna.
Ma la colonna  non si è sciolta, ci hanno fatto marciare fino in piazza dell' Appello. Ci sarà l'appello ?  Non è l'appello. Abbiamo visto la luce cruda del faro, e, il profilo ben noto della forca.

ancora per più di un'ora le squadre hanno continuato a rientrare, col trepestio duro delle suole di legno sulla neve gelata. Quando poi tutti i Kommandos  sono ritornati, la banda ha taciuto a un tratto, e una rauca voce tedesca ha imposto il silenzio. Nell'improvvisa quiete, si è levata un'altra voce tedesca, e nell'aria buia e nemica ha parlato a lungo con collera.
infine il condannato è stao introdotto nel fascio di luce del faro.

tutto questo apparato, e questo accanito cerimoniale, non sono nuovi per noi. Da quando io sono in campo, ho già dovuto assistere a tredici pubbliche impiccagioni; ma le altre volte si tratatva di comuni reati, furti alla cucina,  sabotaggi, tentativi di fuga.
Oggi si tratta di altro.

Il mese scorso uno dei crematori di birkenau è stato fatto saltare.
Nessuno di noi sa (e forse nessuno sarà mai) come esattamente l'impresa sia stata compiuta: si parla del SonderKommando, del kommando speciale alle camera a gas e ai forni, che viene esso stesso periodicamente streminato, e che, viene tenuto scrupolosamente segregato dal resto del campo.
Resta il fatto che a birkenau qualche centinaio di uomini, di schiavi inermi e spossati come noi, hanno trovato in se stessi la forza di agire, di maturare i frutti del loro odio.
L'uomo che morrà oggi davanti ai nostri occhi ha preso parte in qualche modo alla rivolta.
si dice che avesse relazioni con gli insorti di birkenau, che abbia portato armi nel nostro campo, che stesse tramando un ammutinamento simultaneo anche tra noi.

morrà oggi sotto i nostri occhi: e forse i tedeschi non comprenderanno che la morte solitaria, la morte di uomo che gli è stata riservata, gli frutterà gloria e non infamia.

Quando finì il discorso del tedesco, che nessuno potè intendere, di nuovo si levò la prima voce rauca :- Habt ihr verstanden  ? – (Avete Capito ?)
Chi rispose <Jawolh> ? tutti e nessuno : fu come se la nostra maledetta rassegnazione prendesse corpo di per sè, si facesse voce collettivamente al di sopra dei nostri capi.
Ma tutti udirono il grido del morente, esso penetrò le grosse antiche barriere di inerzia e di remissione, percosse il centro vivo dell'uomo in ciascuno di noi:
– Kameraden, ich bin der Letze ! – (Compagni, io sono l'ultimo ! )

vorrei poter raccontare che di fra noi, gregge abietto, una voce si fosse levata, un mormorio, un segno di assenso. Ma nulla è avvenuto. Siamo rimasti in piedi, curvi e grigi, a capo chino, e non ci siamo scoperta la testa che quando il tedesco ce l'ha ordinato.
La botola si è aperta, il corpo ha guizzato atroce; la banda ha ripreso a suonare, e noi, nuovamente ordinati in colonna, abbiamo sfilato davanti agli ultimo fremiti del morente.

ai piedi della forca, le SS ci guardano passare con occhi indifferenti: la loro opera è compiuta, e ben compiuta.
I russi possono ormai venire: no vi sono più uomini forti tra noi, l'ultimo pende ora sopra i nostri capi, e per gli altri, pochi capestri sono bastati.

possono venire i russi: non troveranno che noi domati, noi spenti, degni ormai della morte inerme che ci attende.

distruggere l'uomo è difficile, quasi quanto crearlo: non è stato agevole, non è stato breve, ma ci siete riusciti, tedeschi.
Eccoci docili sotto i vostri sguardi: da parte nostra nulla più avete a temere: non atti di rivolta, non parole di sfida, neppure uno sguardo giudice.

Alberto ed io siamo rientrati in baracca, e non abbiamo potuto guardarci in viso.
Quell'uomo doveva essere duro, doveva essere di un altro metallo del nostro, se questa condizione , da cui noi siamo stati rotti, non ha potuto piegarlo.
Perchè anche noi siamo rotti, vinti: anche se abbiamo saputo adattarci, anche se abbiamo finalmente imparato a trovare il nostro cibo e a reggere alla fatica e al freddo, anche se ritorneremo.

abbiamo issato la menaschka  sulla cuccetta, abbiamo fatto la ripartizione, abbiamo soddisfatto la rabbia quotidiana della fame, e ora ci opprime la vergogna.

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