Il ministro della Pubblica Istruzione Malfatti il 3 dicembre '76 emana una circolare che vieta agli studenti di fare piú esami nella stessa materia, smantellando di fatto la liberalizzazione dei piani di studio in vigore dal '68. Questa iniziativa viene immediatamente intesa dagli studenti universitari come la prima mossa in vista di altri e ben piú gravi provvedimenti di controriforma. Il senato accademico di Palermo decide di applicare immediatamente la circolare provocando la reazione degli studenti che danno il via all'occupazione dell'ateneo.
Nelle settimane successive le contestazioni studentesche coinvolgono gli insegnanti precari colpiti anch'essi dall'iniziativa del ministero della Pubblica Istruzione. In breve tempo le agitazioni si diffondono a Torino, Pisa, Napoli e Roma. Il 1 febbraio '77 i fascisti fanno un'incursione nella cittá universitaria romana. Respinti dagli studenti, si coprono la fuga sparando. Resta ferito gravemente da un proiettile, che lo raggiunge alla nuca, Guido Bellachioma, uno studente di Lettere. La risposta é immediata: la facoltá di Lettere viene occupata. Si susseguono frenetiche iniziative assembleari per una mobilitazione di risposta antifascista. Le organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil con l'adesione di Fgci, Fgsi, Pdup e Ao, indicono una manifestazione all'universitá per protestare contro l'aggressione fascista.
Mentre il ministro Malfatti, preoccupato dal precipitare degli avvenimenti, ritira prudentemente la sua circolare, il 2 febbraio un agguerrito corteo di alcune migliaia di studenti esce dall'universitá. L'obiettivo dichiarato é la sede missina di via Sommacampagna che in pochi minuti viene data alle fiamme. Il corteo riprende il suo percorso ma a piazza Indipendenza squadre speciali della polizia in borghese ingaggiano una furiosa sparatoria con un gruppo di manifestanti armati. Restano a terra feriti gravemente un poliziotto (Domenico Arboletti) e due studenti (Paolo Tommasini e Leonardo Fortuna).
"Abbiamo visto poliziotti in borghese dare la caccia all’uomo e sparare a mitraglia; abbiamo visto i colpiti dissanguarsi sul selciato, uno di essi percosso mentre era già a terra, ferito da una guardia (…). I fatti hanno una loro meccanica ben precisa. Hanno cominciato i fascisti con un raid del più classico e nero squadrismo (…). Hanno risposto gli autonomi (…). L’inquietante presenza di squadre di poliziotti in borghese che maneggiano il mitra con estrema facilità hanno fatto il resto."
(La Repubblica – Editoriale di Scalfari – 3-2-1977)
"Vestiti da ragazzi di borgata, capelli lunghi, blue jeans, o da studenti, eskimo e barba lunga, si infiltrano, si informano e forniscono notizie. Autorizzati, come ogni altro poliziotto, a intervenire in caso di necessità, nei fatti molto spesso hanno creato, e continuano a creare tensione e provocazione seminando incertezza e confusione tra i cittadini che debbono poter riconoscere un poliziotto da un eventuale rapinatore armato."
(La Repubblica – 3-2-1977)
La polemica sulle responsabilitá della sparatoria evidenzia le differenziazioni interne alla sinistra. Il Pci attraverso il suo giornale accusa i cosiddetti autonomi, di essere sullo stesso piano dei fascisti. I partiti dell'arco costituzionale chiedono alla magistratura un energico intervento per la chiusura dei covi che alimentano la provocazione violenta di qualunque colore essa sia. Nell'assemblea all'Universitá del giorno successivo indetta da Pci, Psi, Pdup, Ao si accentua la scollatura tra il movimento e le forze politiche ufficiali. La gestione tutta partitica di queste assemblee comincia a risultare intollerabile a un movimento che si sviluppa dal basso e inizia a rivendicare la propria autonomia.
Intanto a Milano viene occupata l'Universitá Statale e a Torino una manifestazione di 5000 studenti attraversa il centro della cittá. 15.000 persone in piazza anche a Napoli: sono studenti, disoccupati organizzati, diplomati e laureate senza lavoro, docenti precari e non. A Bari viene occupata la facoltá di Lettere e filosofia.
A Roma il 5 febbraio la polizia stringe d'assedio l'Universitá, vietando il corteo che il movimento aveva indetto per rompere l'isolamento che gli organi di informazione e i partiti tentano di creare intorno agli studenti definiti "estremisti e violenti". L'Unitá scrive che l'ateneo éoccupato da "poche decine di provocatori autonomi". Nell'assemblea all'interno dell'universitá 5.000 studenti decidono di non accettare lo scontro voluto dal governo e propongono di estendere le occupazioni a tutti gli atenei d'Italia e di allargare la lotta con momenti di controinformazione nei quartieri, nelle fabbriche e nelle scuole medie superiori.
Il giorno successive l'universitá diventa il punto di riferimento di tutto il proletariato giovanile. Una festa gigantesca si protrae per tutta la giornata, il grande spazio dell'universitá "liberata" si riempie di studenti medi, di giovani dei quartieri periferici, di donne. La festa é spontanea, nessuno si é preoccupato di organizzaria, c'é chi fa teatro di strada, chi balla, chi canta, chi suona, chi gioca. Il sindacato ufficialmente condanna l'occupazione non riconoscendo al movimento "la capacitá di condurre autonomamente una lotta contro i problemi irrisolti dell'universitá".
Le occupazioni si estendono agli atenei di Bologna, Genova, Cagliari. A Roma, il 9 febbraio 30.000 persone scendono in piazza. In prima fila campeggia uno striscione enorme con la scritta "Paolo e Daddo liberi, fuori tutti i compagni arrestati". A piazza Navona il corteo si scioglie senza incidenti. Nel corteo c'é un'enorme passione politica, ma soprattutto molta ironia, le donne autogestiscono il loro spezzone, sono presenti gli indiani metropolitani protagonisti delle iniziative creative all'interno del movimento.
Il 10 febbraio il cartello dei "Comitati unitari" che raccolgono la Fgci, la Fgsi, i giovani repubblicani, la gioventú aclista, il Pdup, Ao e i sindacati riesce anch'esso a portare in piazza studenti medi con una logica di rivincita sul movimento universitario "estremista". Ma il gioco non riesce perfettamente poiché durante il corteo moltissimi sono gli slogan contro il governo delle astensioni e della pace sociale praticamente identici a quelli urlati il giorno precedente.
Nel pomeriggio dello stesso giorno nella facoltá di Lettere si tiene un "processo" ai redattori di "Paese Sera", del "Corriere della Sera" e dell'"Unitá", accusati di calunniare sui loro giornali le lotte degli studenti. Il piú bersagliato é Duccio Trombadori (Pci) che alla domanda "Quali sono i covi che volete vengano chiusi?" risponde: "Oltre ai covi fascisti quel centri che si mettono sul terreno della provocazione e che vengono utilizzati da forze estranee al movimento operaio". Alla fine Trombadori verrá espulso dall'universitá.
Lo stesso giorno un grande corteo percorre Bologna dove il Pci locale insiste nel denigrare il movimento con i soliti epiteti di "provocatori". Vengono occupate altre facoltá a Messina, Pescara e Modena. La federazione romana del Pci dichiara di ritenere "una necessitá politica e democratica la ripresa delle attivitá didattiche e scientifiche" nell'universitá ormai occupata da undici giorni. Questa dichiarazione spiana la strada alle posizioni di quelle forze che premono per l'intervento della polizia.
Il 13 febbraio l'assemblea degli occupanti discute sugli sbocchi politici. La linea di tendenza é di continuarla finché non si ottengano dei risultati concreti: il ritiro definitivo del progetto Malfatti, la liberazione dei compagni arrestati, la garanzia di spazi autogestiti nell'universitá, la sua apertura serale e festiva. Soprattutto peró si parla di disoccupazione e delle iniziative da prendere nei quartieri contro 1'emarginazione e sui bisogni materiali come il reddito e la casa. Due giorni dopo militanti del Pci forzano i picchetti ai cancelli dell'universitá occupata e si presentano con un volantino che chiede "il ripristino della vita democratica all'interno dell'ateneo", e indice un comizio con Luciano Lama, segretario della Cgil.
Nell'assemblea del giorno dopo gli occupanti discutono la linea da tenere per il comizio di Lama da tutti giudicato come una provocazione e un tentativo di controllo imposto dall'esterno sul movimento; un'iniziativa che punta esplicitamente alla "normalizzazione nell'universitá". Si propone pertanto che il comizio diventi un'assemblea nella quale possano intervenire alcuni rappresentanti del movimento degli studenti.
(PRIMO MORONI/NANNI BALESTRINI – L'ORDA D'ORO – SugarCo 1988 )