"SE LAMA CREDE…."
"Se Lama crede di venire all'università per fare un'operazione di polizia, il movimento saprà rispondergli in modo adeguato. Nel caso contrario, sfidiamo Lama a rendere conto della linea del compromesso sindacale agli studenti in lotta".
LA CACCIATA DI LAMA DALL'UNIVERSITÁ: TESTIMONIANZE
Un compagno del movimento:
"Della giornata in cui Lama fu cacciato dall'universitá io ho un ricordo molto brutto. Mi é rimasta nella mente un'immagine: un compagno del movimento che durante il fuggi-fuggi del servizio d'ordine del Pci aveva in mano un martello e ha cominciato a rincorrere uno di quelli del servizio d'ordine del Pci, poi si é fermato, é tornato indietro, si é messo a piangere e si é abbracciato con dei compagni. É stato un momento di psicosi collettiva. Era la prima volta che c'era stato uno scontro cosí duro, che non era stato solo uno scontro ideologico, ma uno scontro fisico pesante.
Effettivamente da parte del Pci c'era stata una provocazione esplicita. Non ci sono dubbi sul fatto che voleva a tutti i costi ristabilire l'ordine nell'universitá, non fosse altro per il fatto che era venuto lí con un servizio d'ordine molto ben strutturato e pronto sia psicologicamente che fisicamente a affrontare una situazione di scontro. Credo che tutti i compagni l'abbiano vissuta male quella giornata. Il servizio d'ordine del Pci aveva una chiara volontá di scontro, c'erano alcuni di loro che hanno subito cominciato a provocare pesantemente. Praticamente ci siamo trovati schierati su due fronti. Loro erano entrati in forze giá la mattina presto e si sono messi dalla parte sinistra, dove sta giurisprudenza, mentre i compagni stavano di fronte, dall'altra parte.
Finché c'erano questi schieramenti divisi e finché Lama ha cominciato a parlare non é successo niente di grave. C'era solo una contestazione verbale molto forte da parte dei compagni del movimento, soprattutto da parte degli indiani metropolitani. Dopo c'é stata una risposta molto violenta da parte del servizio d'ordine del Pci, che ha cominciato a farsi avanti facendo provocazioni piuttosto evidenti.
Io sono sicuro che c'era qualche caso di padre e figlio che stavano uno da una parte e l'altro dall'altra, schierati sui fronti diverse. Quello che é successo lo puoi leggere anche in chiave di scontro generazionale, di culture diverse che arrivavano allo scontro, e c'é di mezzo anche un fatto umano pesante. Erano dei contrasti che poi magari avevi anche a casa tua con tuo padre. Insomma finalmente eri arrivato a prenderti a schiaffi con tuo padre, finalmente e peró anche drammaticamente.
L'impatto psicologico é stato fortissimo, non si trattava di un semplice scontro di linee politiche differenti, dietro c'erano dei problemi molto piú grossi, come per esempio la figura del Pci che é la figura del padre dell'ideologia che ti dovrebbe coprire e che invece ti tradisce.
Erano anni che ti stava tradendo, ti ha tradito con la legge Reale, poi ti ha tradito con progetti politici assurdi, che non poteva mai e poi mai condividere: il governo delle astensioni, la filosofia dell'austeritá e dei sacrifici, il compromesso storico in una parola, e non é che queste cose poi non avessero dei risvolti pratici.
Poi c'é Lama che arriva lí all'universitá con il suo megafono, anzi megamegafono, con il suo impianto di amplificazione assordante e comincia a parlare in questa roba roboante, con una potenza tale di suono, di frastuono che nessuno, anche se avesse voluto, avrebbe potutoascoltare quello che stava dicendo.
Il movimento in quel mese non si era sviluppato su un messaggio unidirezionale, ma su una rete di cento comunicazioni diverse, che erano i cento linguaggi diversi, che erano i cento messaggi diversi incrociati tra di loro, come per esempio le scritte sui muri dell'universitá, che loro del Pci hanno cancellato con prepotenza. All'universitá, durante l'occupazione nessuno voleva affermare la sua volontá sugli altri, perché tutti si confrontavano non solo nelle assemblee ma anche facendo scritte di tutti i tipi e nessuno diceva io qui sono egemone, anzi la prima cosa che ha fatto il movimento é stata quella di affermare con molta chiarezza e determinazione che non si volevano partiti guida o tentativi di egemonia da parte di nessuno, né singolo né gruppo.
Invece Lama viene lí e quello che fa é dire: io vengo qui, prendo un megafono grande cosi e faccio il mio discorso che é un discorso che deve coprire, che deve annullare tutti gli altri discorsi, perché lui non é venuto lí a confrontarsi col movimento, é venuto lí a imporsi. Ecco, questo é stato subito chiaro a tutti i compagni del movimento, questo tutti quanti i compagni lo hanno vissuto subito come un atto autoritario, illegittimo, prepotente, violento, in linea con tutto quello che il Pci aveva giá detto e fatto fino a quel momento nei confronti del movimento.
Non hanno voluto assolutamente che ci fosse il confronto, infatti non hanno accettato che i compagni del movimento potessero intervenire dopo il comizio di Lama, non hanno accettato nemmeno questa minima condizione. Lama é venuto lí dicendo: parlo io e basta. Volevano, con quello che facevano, costringere quelli che stavano lí a seguire un comportamento, una cultura che non avevano piú nessuna logica.
Ricordo che Lama a un certo punto del suo comizio disse una cosa tipo "gli operai nel' 43 hanno salvato le fabbriche dai tedeschi e voi adesso dovete salvare le universitá perché sono le vostre fabbriche". É chiaro che quello che diceva non c'entrava niente con quello che succedeva.
Allora io ho pensato, tutti hanno pensato, ma perché tu devi venire qua e devi dirci queste cose che con noi, che con questo movimento non c'entrano piú niente? Perché la veritá é che tu non capisci piú niente e pretendi di pormi l'ultimatum: o sei con me o sei contro di me.
Quella mattina io ero arrivato all'universitá molto presto e c'erano giá lí quelli del servizio d'ordine del Pci e del sindacato con i cartellini rossi appuntati sul bavero della giacca che stavano cancellando le scritte che avevamo fatto sui muri esterni delle facoltá. C'erano degli uomini in tuta con dei pennelli e dei secchi di vernice bianca che coprivano le scritte. Lavoravano a squadre, c'era un silenzio allucinante.
Quello che ho immediatamente realizzato é stato che quello che copriva le scritte era uno che mi rompeva i coglioni. Su Lama, sul '77 poteva succedere di tutto, io la pensavo in un modo, altri in altri modi ma non tolleravo uno che mi rompeva i coglioni, uno che di prepotenza veniva lí e cancellava le scritte, anche se su quelle scritte io magari non ero d'accordo. Il fatto é che in quella cosa, in quello che stava facendo, lui non era diverso dal primo poliziotto che ti capita di incontrare. Quello che stava facendo cancellando le scritte era un atto di violenza incredibile. E poi quelli li identificavi subito come gente che con l'occupazione non c'entravano niente, potevano essere tuo padre, era proprio tuo padre che veniva lí a riportare l'ordine, i papá con le panze. C'era una scritta che diceva: "I Lama stanno nel Tibet" e uno di questi del Pci gridava incazzato: ma che cosa vuol dire? ma questi che cosa vogliono dire? Allora un compagno del movimento che era lí gli ha detto: vuol dire tutto e vuol dire niente, vai a chiederlo a chi l'ha scritto invece di cancellare senza neanche sapere perché, ma tu perché cancelli? ma chi sei?
Quelli del servizio d'ordine del Pci li vedevamo come persone adulte, come persone grosse, manovali, edili, gente che non c'entrava un cazzo. Mi ricordo che molti avevano gli impermeabili scuri e gli ombrelli, e mi ha colpito il fatto che nessuno di noi aveva gli ombrelli anche se piovigginava. L'ombrello era come la pipa. Li sentivi estranei, non c'era niente da fare. Quando sono scoppiati gli scontri ho visto lí in mezzo teste spaccate. Ma prima giá questi del Pci dicevano: "sti figli di mignotta, in Siberia li dobbiamo mandare". Uno di questi io lo conoscevo, allora gli ho detto: ma abitiamo a cento metri, ma dove vuoi mandarmi?
Il palco di Lama era montato su un camion parcheggiato nel piazzale. In prima fila, di fronte al servizio d'ordine del Pci, ci sono gli indiani metropolitani che hanno innalzato su una scaletta un palchetto tipo carroccio con un fantoccio in polistirolo e dei cartelli a forma di cuore con su scritto: "Vogliamo parlare" e "Lama o non Lama, non Lama nessuno". Hanno visi dipinti, asce di gomma, stelle filanti, coriandoli, palloncini e qualche busta d'acqua che gettano sui componenti del servizio d'ordine del Pci scandendo slogan ironici: "Sa-cri-fi-ci-sa-cri-fi-ci", "Piú lavoro, meno salario", "Il capitalismo non ha nazione, l'internazionalismo é la produzione", "Piú baracche, meno case", . "É ora, é ora, miseria a chi lavora", "Potere padronale", "Ti prego Lama non andare via, vogliamo ancora tanta polizia",. A un certo punto da sotto il carroccio degli indiani metropolitani si é vista alzarsi una nuvola bianca, era stato uno del servizio d'ordine del Pci che aveva azionato un estintore, ho visto la nuvola bianca che si alzava sopra le teste intorno al palco che ha cominciato a ondeggiare, un ondeggiare continuo, confuso, poi gente che scappava da tutte le parti. Il servizio d'ordine del Pci é venuto avanti picchiando, volavano delle cose, sono cominciati a volare sassi, pezzi di legno. Di slancio quelli del Pci sono venuti avanti caricando fino alla fine della fontana.
Ho visto i primi compagni del movimento che venivano portati via per le gambe e per le braccia, con le teste rotte, con le facce insanguinate.
É stato scioccante per tutti vedere quei compagni conciati cosí, e quando il servizio d'ordine del Pci é tornato indietro verso il palco c'é stata la controcarica dei compagni del movimento che si erano armati con quello che avevano trovato lí sul momento.
C'é stato il contrattacco, eravamo davvero incazzati, c'era la nostra gente con la testa spaccata. Il camion su cui stava Lama é stato capovolto, distrutto. In quel momento c'é stata la sensazione che qualcosa si era rotto, poteva essere la testa delle persone che conoscevi, io avevo la fidanzata che era della Fgci e in quel momento ho capito che si rompeva anche qualcosa che riguardava i miei affetti. Quello che stava succedendo in quel momento era chiaro: il sindacato e il Pci ti venivano addosso come la polizia, come i fascisti. In quel momento era chiaro che c'era una rottura insanabile tra noi e loro. Era chiaro che da quel momento quelli del Pci non avrebbero piú avuto diritto di parola dentro il movimento.
Avevano cercato, avevano voluto lo scontro per giustificare la teoria secondo la quale col movimento non si poteva dialogare. Quel giorno per loro vincere o perdere era la stessa cosa, non avevano piú niente da perdere perché ormai l'universitá occupata l'avevano giá persa, l'universitá era ormai un fortino del movimento che loro dovevano espugnare in qualsiasi modo, ogni modo di "liberarlo" per loro era buono.
Dovevano salvarsi la faccia rispetto alle istituzioni democratiche affermando che noi non solo non eravamo loro figli legittimi, ma addirittura eravamo dei fascisti. Dovevano ribadire la loro capacitá di gestire la situazione e che loro erano il partito della classe operaia e dei proletari, gli unici garanti e mediatori, gli unici rappresentanti ufficiali in ogni conflitto. La loro logica era: se scoppia un casino lo gestisco io sennó é merda."
Una militante della Fgci:
"Noi della Fgci prima della giornata di Lama avevamo fatto una riunione in cui si era discusso su come intendevamo quella scadenza. Noi vivevamo l'occupazione dell'universitá, e piú in generale 1'esistenza stessa del movimento come una grande provocazione a cui dovevamo dare una risposta. Noi all'universitá non avevamo mai avuto vita facile perché aggregavamo pochissima gente e perché c'era sempre stata una grande conflittualitá, con i militanti dei gruppi in una prima fase e con la gente del movimento poi. Indubbiamente consideravamo il movimento come il nemico. All'interno del Pci questa storia del movimento la vivevamo, il partito ce la faceva vivere come una cosa che metteva in discussione la democrazia, la responsabilitá delle masse ecc.
Il movimento noi lo intendevamo come un aggregato confuso di giovani fatto un po' sull'onda delle mode estremiste, impregnato di cultura estremista e anticomunista. Un movimento di giovani in cui quello che spiccava era l'irrazionalitá. All'interno del Pci si credeva alla distinzione tra autonomia operaia come componente specifica di gruppi piú o meno organizzati e il resto del movimento. Questa é una cosa che abbiamo capito dopo, ed é stato un grave errore perché questa incomprensione ha permesso di regalare quasi tutto il movimento alle frange dell'autonomia.
Ricordo la grossissima manifestazione del 12 marzo, che noi del partito abbiamo visto dai marciapiedi: era una cosa impressionante, era un corteo enorme, erano davvero tanti. Le manifestazioni del movimento, indipendentemente da quello che si diceva in sezione, mi suggestionavano molto perché vedevo tutti quei giovani come me, soltanto ideologicamente diversi, che sfilavano a migliaia e migliaia gridando slogan bellissimi, riusciti, pieni di carica. Tutto questo ti faceva un grosso effetto.
Nella sezione del partito che frequentavo si discuteva del movimento, ma non é che lí i giovani fossero molti, la maggior parte erano funzionari o insegnanti, qualche operaio, peró non erano giovani, erano gente con i figli, gente sposata, con un lavoro regolare, con una vita regolare. Nelle discussioni noi dovevamo farci carico della difesa di un patrimonio storico che il movimento in quel momento stava attaccando, per cui non poteva che vivere quel rapporto in termini di conflitto, loro erano il nostro nemico e c'era l'odio, ma questo ovviamente da tutte due le parti.
C'era all'interno del partito un continuo ribadire l'irresponsabilitá del movimento. La nostra posizione era che la politica la fa chi ha il senso della storia, chi ha il senso critico, chi ha il patrimonio delle masse. Il movimento per noi non faceva parte della sinistra, e non abbiamo minimamente capito quello che sarebbe successo dopo. Non abbiamo capito che quel movimento poneva delle questioni di fondo mentre noi lo consideravamo come un fenomeno giovanilistico tipico di chi approccia la politica in modo irrazionale e passionale. Comunque noi avevamo la certezza che le masse erano con noi, le masse organizzate che parlavano del contratto, che facevano il discorso del lavoro, che avevano vissuto dei momenti difficili rispetto ai quali avevano difeso il terreno della democrazia.
Noi della Fgci facevamo dei corsi in sezione per la formazione dei quadri politici, una grossa parte dello studio era concentrata sui testi classici contro 1'estremismo. Questo perché i dirigenti del partito si rendevano conto della suggestione, del fascino che 1'estremismo, diffuso un po' ovunque e soprattutto nelle scuole, esercitava sui giovani. Tra noi e il movimento é nato un rapporto di odio, di odio profondo causato dall'accrescersi e dall'accumularsi di incomprensioni dovute a culture diverse, ma anche a comportamenti e a forme di vita diverse.
La mattina di Lama all'universitá mi ricordo che quelli del movimento ci tiravano le cinque lire, questa cosa mi ha fatto malissimo, me la ricordo come una cosa molto brutta. Ci tiravano le cinque lire addosso, era una cosa micidiale per chi la subiva, é stata una cosa pesantissima. Siamo arrivati e ci siamo messi sotto il camion attrezzato come palco. C'era il muro del nostro servizio d'ordine e quelli del movimento che premevano. A un certo punto sono cominciate a volare le cose, le botte, le bastonate, ma io la cosa che ricordo di piú é che mi deridevano, mi sputavano addosso e mi tiravano le cinque lire. Sono rimasta annichilita e mi sono resa conto del livello di odio che il movimento aveva contro di noi.
Non sono scappata mentre c'erano gli scontri e ho anche preso delle botte, una sassata qui nella schiena. Mi sono incazzata con i miei compagni che scappavano perché pensavo che se avevamo deciso di andare all'universitá era per restarci. Se era un momento di lotta allora bisognava lottare fino in fondo, non scappare. Invece a un certo punto c'é stato il fuggi fuggi generale.
Poi nei giorni successivi, dentro il partito, ce la siamo presa con i compagni della cellula universitaria che ci avevano riferito la situazione interna all'universitá in modo sbagliato. Erano venuti in federazione a dire che all'universitá non c'era un movimento ma dei gruppi provocatori, una situazione che andava assolutamente normalizzata, che la cosa era possibilissima. Ufficialmente noi del Pci siamo andati all'universitá per evitare l'irreparabile, questo abbiamo detto e ci siamo detti, cioé per evitare l'intervento della polizia per lo sgombero, e gli inevitabili scontri che ne sarebbero seguiti. Non avevamo capito che su quella situazione non avevamo non dico 1'egemonia ma nemmeno un briciolo di prestigio, che non avevamo in sostanza la minima legittimitá."
L'AMA O NON LAMA NON LAMA NESSUNO
La cacciata di Lama dall'Università 2
(di Carlo Rivolta – "La Repubblica", 19 febbraio 1977)
"Alle otto del mattino, sotto un cielo plumbeo e le prime gocce di pioggia, gli schieramenti nell'Universitá erano giá formati, anche se la tensione era ancora minima. Nel piazzale della Minerva il servizio d'ordine del sindacato e del Pci con i cartellini rossi appuntati sul bavero della giacca, qualche giovane della Fgci, molte persone un po' attempate, due o tre tute blu, presidiava la piazza del comizio. Armati di pennelli e vernice sindacalisti e comunisti cancellavano le scritte degli "indiani metropolitani" (l'ala "creativa" del movimento composta essenzialmente da militanti dei circoli del proletariato giovanile) Prima fra tutte una a caratteri cubitali accanto ai cancelli principali dell'ateneo: "I Lama stanno nel Tibet ".
Gli "indiani" dal canto loro non restavano a guardare. Su una scala di quelle da biblioteca (con le ruote e un palchetto con ringhiere) avevano piazzato un fantoccio a grandezza naturale in polistirolo che doveva rappresentare il leader dei sindacati.
Circondato da palloncini portava appesi tanti grandi cuori. C'era scritto: "L'ama o non Lama". "Non Lama nessuno" e altri giochi di parole del genere. I sindacalisti e il servizio d'ordine del Pci erano perplessi, qualcuno sorrideva bonariamente: "Sono goliardi, non bisogna farci caso" Qualcun altro invece giá alla vista del fantoccio si era innervosito: "É una provocazione inammissibile, Lama é un leader dei lavoratori".
Assiepati intorno alla Facoltà di Lettere gli indiani ballavano, cantavano, scandivano slogan polemici. Ritmavano ossessivamente: "Sa-cri-fi-ci-sa-cri-fi-ci". Ce l'avevano con il governo Andreotti ma soprattutto con i partiti dell'astensione.
Alle 8.30, davanti alla Facoltà di Lettere c'è stato uno degli episodi chiave, rimasto ignorato però dalla gran parte della gente. Quattro persone, infreddolite, preoccupate, una delegazione dell'intercollettivo universitario aspettavano Aurelio Misiti, segretario romano della Cgil-scuola. "Avevamo un appuntamento", hanno detto ore dopo si giornalisti, "per concludere un accordo già preso ufficiosamente la sera prima: al comizio dovevano esserci anche i nostri interventi. La posizione del movimento era quella dello scontro politico, della critica aperta, ma in termini pacifici, e questa linea era legata, indissolubilmente, alla nostra partecipazione al comizio". Aurelio Misiti, invece, secondo quello che hanno raccontato i rappresentanti dell'intercollettivo, all'appuntamento non è venuto. L'attesa si è prolungata per una mezz'ora, poi i quattro dell'intercollettivo, delusi, si sono mescolati alla folla. 3
Il clima intanto si andava surriscaldando. Intorno al "carroccio degli indiani" (ma c'erano dietro anche tutti gli altri collettivi, i militanti dei gruppi e un paio di rappresentanti del Fuori), il servizio d'ordine del Pci aveva steso un cordone sanitario che ritagliava una larga fetta della piazza. La gente cominciava ad affluire, erano circa le 9 del mattino, e gli indiani pigiavano sul pedale dell'ironia e del sarcasmo, anche pesante. "Piú lavoro, meno salario", "Andreotti é rosso, Fanfani lo sará", "Lama é mio e lo gestisco io", "Il capitalismo non ha nazione, l'internazionalismo é la produzione", "Piú baracche, meno case", "É ora, é ora, miseria a chi lavora", "Potere padronale", "Ti prego Lama non andare via, vogliamo ancora tanta polizia", erano gli slogan piú scanditi, parafrasi delle parole d'ordine delle manifestazioni e cortei della sinistra. Un gruppo cantava sull'aria di "Guantanamera": "Fatte 'na pera, Luciano fatte 'na pera". Una pera, nel gergo freak è una endovena di eroina.
I militanti del Pci erano a questo punto non più perplessi, ma dichiaratamente ostili. Rispondevano con altri slogan: "Via, via, la nuova borghesia", "Pariolini, pariolini". Dall'altra parte, settori del movimento rimbalzavano slogan non più ironici ma di aperta contrapposizione politica: "Provocatori sono Pci e sindacato che pieni di paura invocano lo stato", "Via, Via, la nuova polizia".
E' stato un crescendo polemico, di violenta contrapposizione, ma una contrapposizione fino a quel momento solo verbale. A ranghi serrati il servizio d'ordine sindacale e del Pci stringeva dappresso "indiani", Collettivi e autonomi. La gente assisteva perplessa, qualcuno già spaventato. Il punto di attrito più caldo era intorno al "carroccio" degli indiani: lì davanti era schierato il servizio d'ordine della federazione romana del Pci e i giovani della Fgci. Is indacalisti e i Consigli di fabbrica occupavano prevalentemente le "retrovie" e stavano sui bordi della grande fontana di piazza della Minerva.
Luciano Lama é entrato nell'Universitá con una grande puntualitá. Circondato da una decina di tute blu, che lo rendevano quasi invisibile, é passato rapido tra la folla nel viale che porta a piazza della Minerva, ha attraversato la piazza nel varco lasciato libero dai servizi d'ordine ed é arrivato al palco, un camion parcheggiato diagonalmente nello spiazzo fra le aiuole della facoltá di Legge e il rettorato. Dagli altoparlanti le note delle solite marce da comizio non riuscivano a soffocare gli slogan ironici degli "indiani". 4
Il clima a quel momento era arrivato quasi al punto di rottura. Le contraddizioni fra due mondi completamente diversi ed estranei, quello dei sindacati e dell'ortodossia comunista e quello della creativitá obbligatoria, non avevano trovato neanche un punto di incontro, neanche un modo di evitare insulti reciproci. Erano ormai due blocchi contrapposti e nemici: la pentola in ebollizione da un paio d'ore era ormai sul punto di scoppiare.
Il primo piccolo incidente è avvenuto ai bordi della fontana. Due Consigli di fabbrica vicini ad Autonomia Operaia si sono fatti largo per aprire i loro striscioni; rintuzzati dal servizio d'ordine dei sindacati stavano per venire alle mani. C'è stato un intervento di alcuni ragazzi del Pdup e la calma è tornata per poco.
Alle 10 del mattino Lama ha iniziato il suo comizio mentre crescevano le proteste, gli slogan si facevano piú violenti. "Il Corriere della Sera ha scritto che saremmo venuti qui con i carri armati, si é sbagliato, noi siamo qui … ".
Dal carroccio degli indiani a questo punto sono partiti dei palloncini: pieni di acqua colorata e vernice. Nel servizio d'ordine del Pci c'é stato un attimo di sbandamento. Qualcuno deve aver pensato che si trattasse di qualcosa di pericoloso, molti si sono infuriati quando la vernice é piovuta sulla testa della gente. É partita allora una carica per espugnare il carroccio degli indiani. Travolta "l'ala creativa" del movimento, il servizio d'ordine del Pci, che ormai aveva raggiunto il fantoccio di Lama, é entrato in contatto con l'ala "militante". Sono volati pugni, schiaffi, calci, poi il carroccio é tornato in mano agli occupanti dell'Universitá che lo hanno usato come ariete per controcaricare. A questo punto uno dei capi del servizio d'ordine della federazione romana del Pci ha usato un estintore contro i militanti dei collettivi. La nuvola bianca di schiuma é stata il segnale di partenza della rissa piú selvaggia.
Mentre Luciano Lama continuava il suo discorso al centro della piazza, fra i due schieramenti ormai era un continuo avanzare e arretrare a pugni e botte. Poi dal fondo, verso la facoltá di Lettere, contro il servizio d'ordine del Pci, sono volate patate, pezzi di legno e qualche pezzo d'asfalto.
Lama ha concluso il suo discorso alle 10,30, mentre nella piazza in tumulto molti fuggivano, molti, soprattutto sindacalisti, restavano a guardare attoniti, alcuni cercavano disperati di dividere i contendenti, qualcuno giá piangeva urlando. "Basta, basta, non ci si picchia fra compagni". Dopo Lama saliva sul palco Vettraino, della Camera del lavoro di Roma. "Compagni" ha tuonato, "la manifestazione é sciolta. Non accettiamo provocazioni". L'ultima parola é stata quasi un segnale. Un'ultima carica violentissima ha spazzato via il servizio d'ordine del Pci e dei sindacati che ha protetto il deflusso dei suoi militanti. Il camion é stato capovolto, distrutto, poi si sono scatenate le risse.
A gruppi di due o tre, di dieci quindici persone, nei viali alle spalle del rettorato studenti e militanti del Pci e dei sindacati si sono affrontati, a bastonate, a colpi di spranga, di chiave inglese e sassate. Una rissa tragica, violentissima. Con gente che piangeva, che imprecava, feriti portati via a braccia (molti militanti dei Collettivi non sono andati all'ospedale perché temevano denunce). La Facoltà di Lettere era trasformata in una infermeria, i militanti del Pci venivano portati di corsa al Policlinico.1
La calma dentro l'Ateneo è tornata solo quando i comunisti, usciti dall'Università,si sono schierati fuori dai cancelli. Dentro, una parte degli occupanti scandiva slogan contrapposti a quelli dei comunisti, un altro gruppo si riuniva in assemblea a Geologia e stilava una mozione: "La responsabilità degli scontri ricade sull'iniziativa provocatoria ed esterna al movimento presa dal Pci sotto una copertura sindacale unitaria…". In sostanza tutto l'Intercollettivo si è assunto la responsabilità di quello che era accaduto, anche se fino a poche ore prima c'era stata la violenta polemica fra l'ala di Autonomia e il resto del movimento.
Alle 12.30 circa il rettore Ruberti è uscito dall'Università da una cancello secondario. Aveva già chiesto l'intervento della polizia.
Per qualche ora c'è stata una pausa, come se i contendenti dovessero tirare il fiato per riprendersi dalle emozioni, dal trauma di quello scontro violento fra bandiere rosse. Poi, mentre cominciava l'assemblea dei Collettivi, alle 16.30, fuori dall'Ateneo sono cominciati ad affluire i reparti della polizia e dei carabinieri. Qualcuno ha improvvisato barricate con tavoli, travi, automobili rovesciate, distrutte, demolite pezzo per pezzo.
Colonne di jeep, camion, "pantere", pullman di carabinieri hanno riempito rapidamente i viali intorno all'Università. Una sola strada è rimasta libera, quella dell'uscita di via de' Lollis, unica via di scampo per gli "assediati".
Alle 17.40, dopo un timido tentativo di resistenza degli occupanti che avevano incendiato le auto della barricata, la polizia ha marciato verso i cancelli. In testa un autoblindo, dietro file di uomini con giubbotti antiproiettile e maschere, sotto un fuoco di copertura di centinaia di gas lacrimogeni che in breve hanno avvolto tutta la zona in una nuvola di fumo acre. La barricata è stata demolita da un bulldozer, poi, sempre sparando candelotti, gli agenti sono entrati. La gran massa degli occupanti era già fuggita, gli ultimi hanno imboccato il cancello di via de' Lollis verso le 18.15.
Padroni del campo, sotto la luce delle fotoelettriche, poliziotti e carabinieri hanno rastrellato gli edifici. Fuori, per le strade di San Lorenzo, si è acceso qualche focolaio di guerriglia. Forse sono stati sparati colpi di pistola (ma è una notizia ancora non confermata), secondo gli aderenti ai Collettivi due giovani militanti di Lotta Continua sono stati picchiati dal servizio d'ordine della Fgci e del Pci fermo in via dei Frentani a presidiare le sue sedi.
Alle 20 tremila studenti erano riuniti ad Architettura. Scadenze per i prossimi giorni: una manifestazione cittadina sabato, una manifestazione nazionale in settimana, assemblee nelle scuole. Gli interventi, brevi, incalzanti, disegnavano la nuova strategia del movimento. Al primo posto la necessità di darsi una forma di organizzazione "perché la sovranità dell'assemblea e delle sue decisioni venga rispettata". Ha parlato anche un giovane della Fgsi che ha espresso solidarietà ai Collettivi e ai Comitati di lotta contro la riforma Malfatti.
Da ieri mattina tutto il dibattito, le discussioni, le riunioni si sono spostate. Ad Economia e Commercio e Architettura, le due facoltà fuori dalla città dell'Ateneo, le assemblee sono andate avanti fino a sera. E' stata votata una mozione: dopo aver ribadito che il movimento "è stato fatto bersaglio di un'offensiva dell'apparato dello Stato e del gruppo dirigente del Pci" si afferma che "è incorso da parte della borghesia italiana guidata dal governo Andreotti un aperto tentativo di criminalizzare la lotta dei giovani". Gli obiettivi del movimento sono" "Ritiro del progetto Malfatti; sciopero generale nazionale contro il governo". "Il movimento", è scritto nel documento, "sa che questi obiettivi significano il rifiuto della politica dei sacrifici". Si conclude indicendo una manifestazione per oggi pomeriggio alle 17, "pacifica e di massa".
FEBBRAIO 1977. LAMA ALL'UNIVERSITÁ.
"Lascia che ti dica. Sei stato mal consigliato".(Rossana Rossanda).
(…..) Lama si presentó con due altoparlanti da 10000 watt. La sventura cresceva nella piazza mentre si diffondeva la sua voce. Assordante, incomprensibile. Il vero messaggio erano quegli altoparlanti che controllavano e plasmavano irrimediabilmente le proporzioni e la forma di quell'incontro. Mostrandosi con una comunicazione unidirezionale, Lama rivela la sua vera natura, perché le ragioni profonde di quel movimento toccavano proprio la piú generale questione del potere che si presentava ormai, col passaggio dalla societá industriale alla societá informatica, sempre piú come questione della comunicazione. Dunque autonomia del movimento significava, prima di tutto, comunicazione bidirezionale ed immediata, cioé rapporti non mediati dai partiti o da altre istituzioni, comunicazione spontanea, esplosiva, orizzontale, senza ritegno.
(….)
Il potere si presentava sempre piú come sistema di comunicazione unidirezionale, verticale, centrico, che seleziona omologa gerarchizza i messaggi. Interrompere questo flusso diventava sempre piú la condizione essenziale di esistenza di un movimento, la piú preziosa.
Lama invece non conosceva che la grazia di chi sa ascoltare, i saggi-maturi-consapevoli della prima societá.
Quel giorno gli apparve la differenza tra quella grazia e questa degli indiani metropolitani, fatta di volontá di comunicare, di ironia, di fragilitá, di presenza instabile – quindici giorni prima non esistevano – (….)1
Lama scopriva che in questa loro diffidenza assoluta a confondersi con un potere a cui delegarsi, in questa instabilitá, in questa dispersione imminente, in questa loro inoperositá, si fondava la sua rovina. In questo dunque stava la loro forza, che neanche la nuova sinistra era stata capace di immaginare.
(….)
Che dire di un ceto politico che risolve una situazione come questa a bastonate? Eppure fu quello che avvenne. Il servizio d'ordine di Lama, diretto da Paolo Ciofi della Federazione romana del PCI, attaccó gli indiani improvvisamente, ferendone moltissimi. Furono trasportati nella facoltá di lettere e scomparvero lasciando una scia di sangue sulla scalinata. Non ritornarono mai. C'é da meditare su questa sparizione.
(…..)
Subito dopo, da quella facoltá dove erano scomparsi gli indiani, apparvero molti passamontagna assai piú motivati del servizio d'ordine del PCI, che fu fatto sgomberare in pochi minuti.
Il compromesso storico finí quella mattina, nel momento in cui il PCI si riveló incapace di mantenere l'unico vero impegno che importasse alla DC, quello di assicurare il consenso e la pace sociale. Inutilmente si cercherá di salvarlo adoperando la palindroma teoria delle due societá, che si prestava al tentativo di convincere la DC che il PCI doveva considerarsi impegnato a garantire solo il consenso della prima societá, e che in questo senso aveva mantenuto gli impegni. Quello stesso pomeriggio la mano passó ai blindati di Cossiga, che occupó l'universitá e pote' dire al PCI: i miei uomini li hanno fatti scappare come lepri.
Ebbe fine cosí la breve esistenza degli indiani metropolitani. Ma in dieci anni, cambiando aspetto, sono tornati mille volte.2
(….)
DICE COSSIGA:
"Sappiano questi signori che non permetteremo che l'università diventi un covo di indiani metropolitani, freaks, hippies…."
DICE LA FEDERAZIONE ROMANA DEL PCI:
"La Federazione romana del Pci denuncia la gravità del fatto che gruppi di provocatori – ripetutamente isolati nei giorni scorsi dentro l'università dalle grandi masse studentesche e dai lavoratori docenti e non-docenti – siano ricorsi ai metodi tipici dello squadrismo fascista non essendo riusciti a impedire lo svolgimento della manifestazione sindacale cui hanno partecipato migliaia di lavoratori e di studenti…."
LA RESPONSABILITÀ DEGLI SCONTRI….
La responsabilità degli scontri odierni all'università ricade sull'iniziativa provocatoria ed estranea al movimento presa dal Pci, sotto una copertura sindacale unitaria, con il comizio di Luciano Lama.
A questa iniziativa il movimento aveva risposto con una proposta di confronto politico che consisteva in un'assemblea con la partecipazione dei collettivi d'occupazione. Questa proposta è stata respinta da uno schieramento di servizio d'ordine che ha occupato il piazzale dell'Università, cancellando scritte di lotta e provocando in vario modo I compagni del movimento.
Gli scontri sono cominciati con una prima carica del servizio d'ordine del Pci contro compagni che, in modo esplicitamente ironico e pacifico, manifestavano il loro dissenso nei confronti della politica dei sacrifici proposta da Lama. Dopo il primo assalto la situazione è degenerata in scontri violenti che si sono protratti fino all'uscita del servizio d'ordine del Pci dall'università. Il bilancio è di circa 70 feriti, di cui due gravi. Il movimento considera gravissimo quanto è accaduto. Scontri del genere, originati dalla chiara volontà di soffocare le lotte degli studenti e dei giovani disoccupati, non hanno precedenti di questa ampiezza nella storia del movimento operaio degli ultimi anni. Consideriamo positivo che a questa provocazione il movimento abbia saputo dare un'immediata risposta.
Contro queste degenerazioni il movimento si impegna a continuare le lotte sui suoi obiettivi nelle forme più appropriate e sin da ora diffida la polizia dal prendere pretesto da questa incursione esterna per rientrare di forza nell'Ateneo.
(COMUNICATO DELL'ASSEMBLEA DI MOVIMENTO DOPO GLI SCONTRI DI LAMA – 17 febbraio 1977)