Sulla campagna contro il 41bis e sui coordinamenti contro la repressione…

contributo dei compagni di Viterbo

Ciclicamente si ripropone al movimento rivoluzionario (ma esistiamo in quanto tale?) il problema della detenzione politica, dei compagni in carcere, della repressione; e giù campagne, di tutto rispetto sia detto a scanso di equivoci, contro questo o quell'articolo del codice penale, e poi presidi, assemblee, mobilitazioni e quant'altro.
 Noi non facciamo campagne specifiche contro la repressione, perché tutta la nostra vita è repressa.
 Sia i tempi di lavoro, che quelli di "riposo", che quelli di studio sono costretti, stabiliti, programmati, repressi.
 Questa società controlla, opprime e reprime il proletariato sempre, lo sfrutta e, se e quando, in forme individuali o collettive, "politiche" o sociali, esso si ribella, c'è la galera.
 Ovviamente esiste una forma di controllo e repressione specifica, oggi sempre più coordinata continentalmente, contro le avanguardie di classe da affrontare anche "tecnicamente".
 La repressione è una costante della lotta di classe; il diritto è l' ingannevole foglia di fico di questa costante. Il terreno del diritto non è il nostro terreno perché non è conveniente per il proletariato, né in campo interno  né in campo internazionale.
 A noi spetta ristabilire il terreno dei bisogni di classe rispetto al diritto individuale, l'analisi, la critica e la lotta contro lo Stato borghese nella prospettiva dello scioglimento rivoluzionario dei rapporti di forza.
 Il nostro terreno rimane quello della forza ovvero quello dell'intelligenza nella scelta, meglio, nella tempestività del momento dello scontro.


  Ricercare dunque le leggi matematiche, le determinazioni materiali, le invarianti del progetto comunista rivoluzionario, il materialistico rovesciamento della prassi (operato dal Partito storico della classe), quando, al punto di "catastrofe", diventa possibile assecondare non solo il "movimento reale" ma trasformarlo in insurrezione (che è un'arte).
 Perché noi sappiamo- con Marx- che " il limite del Capitale è il Capitale stesso", e che vi sono tutti gli ingredienti per una catastrofe sociale; sappiamo che l'intero sistema si comporta secondo le leggi della termodinamica e che quindi perde energia pur essendo fatto per assorbirne in materia crescente; sappiamo che segue una dinamica di crescita in un mondo finito e che quindi ha un limite assoluto; sappiamo che, in quanto organismo sociale, si comporta come un organismo vivente per cui deve morire per lasciare il posto a un nuovo organismo; sappiamo infine che la tattica non può andare contro il fine strategico, ultimo, del Comunismo.
 Vediamo già l'obiezione, la domanda che sorge: che c'entra tutto ciò con i/le compagni/e che stanno in galera? Parlate di massimi sistemi ma intanto? Rispondiamo che l'attivismo, l'immediatismo sono il portato storico della piccola borghesia, non certo dei comunisti e che senza il faro, nell'oggi il restauro, dei paradigmi rivoluzionari non c'è soluzione al processo storico che porta alla soppressione effettiva del Capitale e dello Stato.
 Porgiamo una domanda: come si può parlare di una battaglia di liberazione, quando magari non si sa cosa potrebbe voler dire, per questo Stato, l'adozione di questo o quel provvedimento? (l'amnistia, la soluzione politica?) e d'altronde si può continuare a ricondurre l'istanza di liberazione dei/delle compagni/e a sole campagne di opinione che prescindono tanto dalla costruzione dei rapporti di forza necessari per far uscire tutti/e, quanto da una riflessione approfondita su come si colloca questa battaglia nella fase che stiamo vivendo?
 Per noi che non tifiamo per nessuno, che non abbiamo "prigionieri del cuore", centrale è dare voce a chi, in questo Stato, non deve parlare ovvero la classe.
Il movimento reale non è nelle carceri. I compagni detenuti non possono costiture un punto di riferimento privilegiato ed esclusivo.Non possono fornire l'indicazione più avanzata della lotta. Sono in uno spazio sacrificato, in uno stato di continuata tortura fisica e psicologica.
Sono il simbolo dello scontro di classe. Non sono lo scontro di classe.
L'affetto per i compagni in carcere non può farci chiudere gli occhi davanti la realtà che essi sono, appunto, compagni in carcere. Compagni in condizione di privazione e di isolamento.
 Se vogliamo liberarli dobbiamo partire da quello che c'è altrove, dal movimento reale.
 Se partiamo da loro, dalla loro specificità, contribuiremo ad inchiodarli – in un modo o nell'altro – alla loro situazione carceraria, quale che sia l'esito della nostra iniziativa. A liberarli sarà ,deve, essere solo il movimento reale che è fuori, quello che, materialisticamente, "abolisce lo stato di cose presente".
Questa è la nostra posizione, consapevoli che, fra comunisti il confronto non può basarsi su infingimenti e mezze parole ma, con aspra e dura chiarezza, su discussione vera, reale e non su opinioni, filosofemi e chiacchericci da luogo comune sinistrorso.

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