Investiamo con il nostro desiderio la
materialità delle cose; nel campo sociale, nei luoghi stessi di produzione.
I
nostri desideri non si accontentano più degli spazi concessi a norma di legge
(la Legge), il sogno sta loro stretto. Tutto ciò è negato dal qui e dallo ora.
E' una questione di forza, pura e semplice. E' una questione di potere. Alt!
Il
personale deve uscire dalla prigione del privato, dalla forma atomistica
dell'esistenza, farsi forza materiale, darsi strumenti di produzione.
L'aggregato molecolare (piccolo gruppo) deve divenire forza liberante.
Scatenatevi venti! Nell'(interno) c'è il padre-madre-bambino: procurate della
dinamite e tutto andrà in frantumi. Ci si obbliga a desiderare anche contro il
nostro interesse. Non è un inganno, è un'oppressione. Vogliono che noi si creda
a ciò che vogliono noi si creda. I nostri comportamenti mossi dalla forza del
desiderio smentiranno la illusione del potere.
Il desiderio non manca d'oggetto.
Esso è pieno naturalmente pieno fino a scoppiare. E' il soggetto che manca al
desiderio. A volte è introvabile. Qui da noi sembra introvabile. Entrate nelle
scuole, la terra trema sotto i nostri piedi. Lì troveremo la forza necessaria a
smuovere le cose. Non c'è lavoro, anche questa illusione è rovinosamente caduta.
Ci si va per non crepare letteralmente per l'angoscia di non fare niente. Il
nemico è in ginocchio ma anche allo stremo delle forze è in grado di incatenarci
in questi luoghi. Prendiamo lezione dai nostri desideri. Desiderare e produrre
non è la stessa cosa. Sono degli stati attraverso cui il soggetto deve passare.
Necessariamente. Produrre è dare forma materiale al desiderio. Produrre il
testo, la musica, lo sciopero. Ricostruire il movimento.
Il giornale, la radio,
la festa, la lotta sono altrettanti strumenti che il desiderio deve darsi per
inscriversi come corrente antagonista nel flusso della produzione capitalistica.
Questo grande strato studentesco è un corpo enorme libero dal lavoro. Dovrà pure
impegnare la propria energia. Deve conquistarsi una condizione di esistenza
altra da quella attuale. Il posto di lavoro, la riduzione attiva dello
sfruttamento lavorativo, il salario, la sessualità, il gruppo maschile, la
coscienza femminista, il rifiuto del lavoro, la produzione testuale devono
uscire dal piccolo gruppo rinchiuso tra le pareti eteree del sogno, dilatarsi
delirando il sociale dare nuove ragioni, quelle finora rimosse, per un nuovo
militantismo. Inscriversi dunque in questi processi. Le difficoltà sono enormi.
L'ideologia può aggredirci da un momento all'altro e distruggere il piccolo
gruppo, che può anche autodistruggersi quando tutta la violenza del desiderio
non investe materialmente il campo esterno. Il giornale deve diventare lo spazio
materiale né primo né ultimo di questo nuovo processo produttivo. Non deve più
restare monopolio del piccolo gruppo, che va invecchiando mi sembra.
L'obbiettivo è ancora piu grande: la costruzione di una radio. Penetrare nella
condizione più castrante dell'esistenza (non la sola): nella famiglia.
Raggiungere tutti nelle case, nella ripetitività dei gesti, nell'automatismo
quotidiano, nella miseria del tempo libero, nell'oppressione dei letti
matrimoniali, nell'impotenza delle sedi politiche. Raggiungere e inceppare i
meccanismi. La Macchina a questo punto impazzirà e metterà in moto lo stato di
emergenza. La repressione però non troverà il bersaglio grosso, l'apparato, i
capi, gli esecutori. Non ci sarà uno scontro robotico. I microcomportamenti sono
diventati a questo punto forza collettiva. Le forze della repressione si
sentiranno circondate da un esercito di fantasmi, imprendibili, continuamente
altrove e dappertutto.
Il tempo, ovvero il tempo impossibilmente lento
dell'orologio di S. Francesco, il tic-tac insulso, spasmodico delle svegliette
operaie va sregolato, fatto impazzire. Prendere continuamente iniziative, essere
dappertutto, accelerare le vita: ci siamo abbruttiti con la lenta processione
verso il posto di lavoro, la sistemazione, i figli. Deridere i comportamenti del
terziario, metterne a nudo le ipocrisie, la impossibile ignoranza. La radio e
tutto il resto dovrà proiettare gli strumenti che i piccoli gruppi si sono dati
nella lotta quotidiana per una forma nuova di esistenza, dovrà produrre essa
stessa conoscenza e armi e «macchinettes increyables», termini inscindibili per
un processo di trasformazione. Essa dovrà essere una radio per il territorio.
Dovrà trovare il linguaggio per il territorio: non si può rischiare
l'incomprensibilità. E il movimento del territorio, sismicamente inquieto, che
darà vita alla macchina desiderante radiofonica. La radio dovrà essere anche
area di libertà niente ciarpame burocratico, n. uno ecc.: la comunicazione
trasversale non accetta simili pastoie. Voce/ Musica/ Orgasmo/ Rabbia/ Lotta:
«questa è pura dinamite, Tex!»
tratto da Désir – numero unico
Castrovillari
ottobre 1976