Devastazioni devastatori ma soprattutto devastati

Riporto uno scritto recuperato da www.controappunto.org 

Tra poco la ricorrenza delle gioiose e al tempo stesse drammatiche giornate di Genova 2001.

 

DEVASTAZIONI DEVASTATORI MA

SOPRATTUTTO DEVASTATI

Il 9/12/2002 ascoltavo RAI tre mondo.

Una signora cambogiana parlava della lotta contro il turismo sessuale nel suo paese.

Mi colpì una frase.

Eccone il senso:

"Forse voi occidentali pensate che il turismo sessuale sia una cosa normale. Non lo è:

queste bambine vengono vendute come vergini, poi ricucite e rivendute di nuovo".

Quando si dice devastazioni, devastatori ma soprattutto devastati.

Tutti con maggiore, minore o nulla coscienza siamo vittime di una devastazione

PERMANENTE DURATURA PREVENTIVA.,

una devastazione economica, ambientale, culturale, etica e politica. Una guerra totale. Una guerra in tutte le accezioni del termine.

Una devastazione di esseri umani, di popoli, di paesi. Una devastazione che non conosce e non riconosce riparazione e che

Azzera il vivente.

GENOVA E’ ANCORA LI’.

NON E’ PIÙ’ INSIEME A NOI CARLO GIULIANI.

Certo che quando una come me vede i Grandi Devastatori ergersi a giudici

e gridare la loro innocenza e invocare la loro LEGITTIMA DIFESA,  non può che dire: "Ma che facce di bronzo!

di bronzo come quelle dei bronzi di Riace, tanto per restare in quei dintorni."

Nel nostro Paese si sta devastando e sovvertendo, in primis la Costituzione, ossia la carta fondante della "società civile";

si devasta l’economia, con operai della Fiat, e non solo loro, devastati; si devasta la sanità pubblica;

si devasta l’istruzione pubblica; si devasta il diritto al lavoro;  si devasta il diritto alla pensione..

per arrivare persino alla devastazione della devoluzione
 (e qui si capisce perché il Sud Ribelle doveva finire sul banco degli imputati).

Genova devastata? Da chi? Quale orda di barbari ha devastato il porto di Genova e l’economia legata al porto?

Se Genova sarà devasta lo sarà da una marea nera di petrolio o da un qualche altro "incidente" dovuto al "santo" profitto del

 "santo" e libero mercato. Se Genova non avrà la sua lanterna non l’avrà perché un qualche Grande Devastatore

la venderà al migliore offerente e non perché qualche "devastatore" la prenderà a sprangate.

In merito ai "devastatori", quelli della nostra parte,  quelli che hanno lasciato Genova lì, una cosa bisogna dire FORTE E CHIARA

che è stata LEGITTIMA DIFESA.

Nessuno chiede questo riconoscimento allo Stato e al Potere. Questo riconoscimento ce lo danno i Devastati.

Infatti "devastatori" e sovversivi della parte nostra, erano lì, a Genova lasciata li, per difendere i diritti dei devastati.

Erano lì, pensate un po’, per difendere pure i diritti dei figli di poliziotti/e, carabinieri/e, digos/e, ros e rose

Giudici, affini e collaterali. I quali tutti costoro avranno anche loro, penso, dei figli

E come mai non si pongono la domanda. " In che mondo vivranno i nostri figli? vivranno devastati in un mondo devastato,

 assediati da chi è più devastato di loro?".

In questo paese c’è chi si fa questa domanda. In tutto il mondo c’è chi si fa questa domanda.

Ciascuno di noi "devastatori" e sovversivi ricorda che, appena fu ucciso Carlo Giuliani, un poliziotto si fece avanti e

col braccio teso nel gesto teatrale del "J’accuse", urlò rivolto ad uno dei manifestanti: " sei tu che l’hai ucciso,

 sei tu, col tuo comportamento, colla tua violenza!". Non ricordo la frase precisa, ma la sostanza era questa.

Ecco nato il teorema su cui si fondano i nostri arresti e gli arresti di Genova.

In merito a questo teorema chiedo: Chi sono i compartecipi di questo teorema?

Il teorema è stato elaborato solo da digos, magistrati e affini? La risposta politica è:

NO!

Compartecipi sono tutti quelli che additavano a digos e magistrati i "violenti".

L’imput alla costruzione del teorema l’hanno dato loro. Di questo debbono prendersi la responsabilità politica e morale,

non solo di fronte al movimento, ma di fronte a tutti i Devastati.

E’ il Momento in cui tutti debbono prendersi le proprie responsabilità politiche.

Io mi prendo le mie e allo stato che mi accusa:

"tu vuoi sovvertire l’ordinamento economico vigente"  rispondo:
 

SI

 

 

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IL CAVALIERE DEL SECCHIO

[Prima versione: quaderno in ottavo B, fine dicembre 1916. Traduzione secondo l’edizione definitiva curata da Kafka e pubblicata sulla rivista Prager Presse, anno 1, n. 270, edizione del mattino del 25 dicembre 1921, supplemento natalizio, p. 22:]

Consumato tutto il carbone; vuoto il secchio; inutile la pala; la stufa che respira aria gelida; la stanza gonfia di gelo; davanti alla finestra, gli alberi rigidi nella brina; il cielo, uno scudo d’argento contro chi cerca da lui un aiuto. Devo procurarmi del carbone; non posso certo morire congelato; dietro di me la stufa impietosa, impietoso il cielo davanti a me; perciò devo andare al trotto in mezzo a loro, e nel frattempo, cercare aiuto dal carbonaio. Questi però è ormai indurito contro le mie solite preghiere; devo dimostrargli con chiarezza che non ho più neppure la più piccola particella di carbone, e che dunque lui rappresenta per me il sole nel firmamento. Devo arrivare come il mendicante intenzionato a morire sulla soglia rantolando di fame, e al quale perciò la cuoca si decide a lasciare i fondi dell’ultimo caffè; similmente il carbonaio, pur schiumante di rabbia, ma sotto il raggio del comandamento "Non uccidere!", dovrà scaraventarmi nel secchio un’intera badilata.

Già il mio decollo sarà decisivo; e dunque mi metto a cavalcare sul secchio. Da cavaliere del secchio, la mano in alto sull’impugnatura, che è la briglia più semplice, scendo con difficoltà le curve della scala; quando però sono giù, il mio secchio allora sale splendido, splendido; i cammelli sdraiati bassi per terra, quando il bastone del padrone li incita, non si sollevano con maggiore eleganza. Trottando a velocità adeguata percorro le strade congelate; spesso mi sollevo fino all’altezza del primo piano; non scendo mai fino alle porte d’ingresso. E a straordinaria altezza mi libro sulle arcate della cantina del carbonaio, dove questi sta rannicchiato laggiù al suo tavolino scrivendo; per lasciar defluire l’eccessivo calore ha aperto la porta.

"Carbonaio!" grido con voce arsa e arrochita dal freddo, avvolto dalle nuvole di vapore del mio respiro, "per favore carbonaio, dammi un po’ di carbone. Il mio secchio ormai è tanto vuoto che ci posso cavalcare sopra. Sii buono. Appena posso te lo pago."

Il carbonaio mette la mano all’orecchio. "Ho sentito bene?" chiede da sopra la spalla a sua moglie, che lavora a maglia vicino alla stufa, "ho sentito bene? Ci sono clienti."

"Io non sento proprio niente", dice la donna, respirando tranquilla sopra i ferri, piacevolmente riscaldata sulla schiena.

"Oh sì", grido io, "sono un cliente, un vecchio cliente, un cliente fedele, solamente, per il momento impossibilitato a pagare."

"Moglie", dice il carbonaio, "è così, c’è proprio qualcuno; non posso ingannarmi fino a questo punto; dev’essere un vecchio, un vecchissimo cliente se sa toccarmi così profondamente il cuore."

"Che ti prende, marito?" chiede la donna, e riposandosi un attimo preme sul petto il suo lavoro a maglia, "non c’è proprio nessuno; il vicolo è vuoto; tutti i nostri clienti sono stati riforniti; potremmo anche chiudere il negozio per giorni interi e riposarci."

"Ma io sono qui, seduto sul secchio" grido, e lacrime insensibili di freddo mi velano lo sguardo, "per favore, guardate in su; mi troverete subito; vi prego, datemi una palata di carbone; e se me ne darete due, mi farete felice oltre misura. In fondo, tutti gli altri clienti sono riforniti. Ah, se lo sentissi già risuonare nel secchio!"

"Vengo", dice il carbonaio e con le sue gambe corte vorrebbe già salire le scale della cantina, ma la moglie gli è già vicina, lo ferma prendendogli il braccio e dice: "Resta qui. Se non la finisci con questa idea, salirò io stessa. Ricordati che tosse hai avuto stanotte. Per un affare, e per di più immaginario, dimentichi moglie e figli e metti in pericolo i tuoi polmoni. Vado io." "Allora però digli tutti i tipi di carbone che abbiamo in magazzino; io da sotto ti dirò i prezzi." "Va bene", dice la moglie, e sale nel vicolo. Naturalmente mi vede subito.

"Signora carbonaia", grido, "i miei saluti più devoti; solo una palata di carbone; subito qui nel secchio; me la porto a casa da solo; una palata del peggiore. Naturalmente la pago a prezzo intero, non subito però, non subito." Che suono di campane, nelle due parole "non subito", e come disorienta il loro mescolarsi con le campane serali che proprio ora cominciano a suonare dal vicino campanile.

"Allora, cosa vuole?" grida il carbonaio. "Niente", gli risponde la moglie, "non c’è nessuno; non vedo nessuno, non sento nessuno; solo hanno suonato le sei e noi chiudiamo il negozio. Il freddo è terribile; c’è da prevedere che domani avremo molto lavoro."

Non vede niente e non sente niente; però scioglie il grembiule e agitandolo cerca di soffiarmi via. Purtroppo ci riesce. Il mio secchio ha tutti i vantaggi di qualsiasi buon animale da cavalcare; ma non ha capacità di resistenza; è troppo leggero; basta il grembiule di una donna per cacciarlo a gambe levate.

"Cattiva!" le grido dietro, mentre lei, voltandosi verso il negozio, agita la mano in aria un po’ sprezzante, un po’ soddisfatta di se stessa, "cattiva! Ti ho chiesto una palata di carbone del peggiore e tu non me l’hai data." E dicendo così salgo nelle regioni delle montagne di ghiaccio e mi perdo per non tornare mai più.

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Gioia – Rostock Giugno 2007

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Frammenti di memoria #11

A PIENA VOCE

Spettabili
compagni discendenti!
Frugando
nell'odierna
merda impietrita,
studiando le tenebre dei nostri giorni,
voi,
forse,
chiederete anche di me.
E, forse, vi dirà
un vostro dotto,
coprendo d'erudizione
lo sciame delle domande,
che visse, pare, un certo
cantore dell'acqua bollita
e nemico giurato dell'acqua corrente.
Professore,
toglietevi gli occhiali-bicicletta!
Io stesso narrerò
di quel tempo
e della mia persona.
Io, pulitore di fogne
e acquaiolo,
dalla rivoluzione
mobilitato e chiamato,
andai al fronte
dai giardinaggi nobiliari
della poesia,
donnetta capricciosa.
Possedeva un leggiadro giardino:
una figlia,
una villa,
un laghetto,
la calma.
"Ho piantato da sola il mio giardino,
da sola lo innaffierò"
Chi versa versi dall'innaffiatoio,
chi ne spruzza
dalla bocca piena,
riccioluti Mitrèjki,
saccenti Kudrèjki ,
chi diavolo li sbroglierà!
Per questa massa non c'è quarantena,
smandolinano sotto le mura:
"Tara-tìna, tarà-tina,
t-en-n …"
Non è soverchio onore
che da siffatte rose
si ergano le mie statue
nei giardinetti
in cui sputa un tubercoloso,
in cui stanno puttane, teppisti
e sifilide.
A me
l'agitpròp
è venuto a noia.
Vergare
Romanze per voi
Sarebbe stato
più lucroso
e più seducente.
Ma io
dominavo
me stesso, schiacciando
la gola
della mia propria canzone.
Ascoltate,
compagni discendenti,
l'agitatore,
lo strillone-capo.
Soffocando
torrenti di poesia,
scavalcherò
i volumetti lirici,
come vivo
parlando coi vivi.
Verrò verso di voi
nella distanza del comunismo
non come
un canoro paladino di Esènin.
Il mio verso giungerà
superando crinali di secoli
e teste
di poeti e di governi.
Il mio verso giungerà,
ma non al modo
d'uno strale
in una caccia di amorini e di lire,
non come giunge
al numismatico un logoro baiocco
e non come la luce delle stelle morte.
Il mio verso
a fatica
squarcerà la mole degli anni
e apparirà
ponderabile,
ruvido,
lampante
come nei nostri giorni
è entrato l'acquedotto
costruito
dagli schiavi di Roma.
Nei tumuli dei libri,
sepolcri di poemi,
scoprendo a caso le làmine dei versi,
voi
le palperete
con rispetto
come arma vecchia,
ma minacciosa.
Io
non sono avvezzo a vezzeggiare
l'orecchio
con la parola:
l'orecchio d'una vergine
tra i capellini-bùccoli
non arrossirà,
se sfiorato da frasi scurrili.
Spiegate in parata
le truppe delle mie pagine,
passo in rassegna
il fronte delle righe.
I versi stanno
con pesantezza di piombo,
pronti alla morte
e alla gloria immortale.
I poemi si sono rappresi,
spianando compatte
le bocche da fuoco
dei titoli spalancati.
Arma
fra tutte prediletta,
pronta
a lanciarsi con un grido di guerra,
si è raggelata
la cavalleria delle arguzie,
levando le aguzze
lance delle rime.
E tutte queste truppe
armate sino ai denti,
che per vent'anni volarono
da una vittoria all'altra,
sino
all'ultimissimo foglietto
io le consegno a te,
proletario del pianeta.
Ogni nemico
della classe operaia
è mio vecchio
ed acerrimo nemico.
Ci ordinarono
di andare
sotto la bandiera rossa
gli anni di fatica
e i giorni d'inedia.
Noi aprivamo
ogni torno
di Marx,
come in casa
propria
si aprono le imposte,
ma anche senza leggervi
noi comprendevamo
da quale parte andare,
in qual campo combattere.
Noi
la dialettica
non l'imparammo da Hegel.
Con lo strepito delle battaglie
irrompeva nel verso,
quando
sotto i proiettili
dinanzi a noi fuggivano i borghesi,
come noi
fuggivamo una volta
dinanzi a loro.
Dietro
i geni,
vedova sconsolata,
si trascini la gloria
in marcia funebre, –
muori, mio verso,
muori come un gregario,
come, sconosciuti,
morivano i nostri all'assalto!
Me ne infischio
dei massi di bronzo,
me ne infischio
del muco marmoreo.
Mettiamoci d'accordo sulla gloria,
dacché siamo tra noi,
ci serva
di monumento comune
il socialismo
edificato
nelle battaglie.
Discendenti,
controllate i gavitelli dei dizionari:
dal Lete
affioreranno
residui di parole
come " prostituzione ",
" tubercolosi>,
" blocco."
Per voi
che siete
sani e destri
il poeta
ha leccato
gli sputi polmonari
con la lingua scabra del manifesto.
Con la coda degli anni
io assumerò l'aspetto
dei mostruosi
fòssili caudati.
Compagna vita,
orsù
percorriamo più in fretta
nel piano quinquennale
i giorni che ci restano.
A me
nemmeno un rublo
i versi hanno messo da parte
gli ebanisti
non mi hanno ammobiliata la casa.
E tranne
una camicia lavata di fresco,
dirò in coscienza
che non mi occorre nulla.
Dinanzi
alla C.C.C.
dei futuri
anni radiosi,
sopra la banda
dei poetici
profittatori e scrocconi
lo leverò
come una tessera bolscevica
tutti i cento tomi
dei miei
libri di partito.

Majak! Continue reading

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Frammenti di memoria #10

Avanti tutti!

E con le braccia e il cuore,

la parola e la penna,

il pugnale e il fucile,

l'ironia e la bestemmia,

il furto, l'avvelenamento e l'incendio,

Facciamo…. la guerra alla società!…


Déjacque

 

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Tiqqun

Ogni giorno la gioventù aspetta,

aspetta la sua occasione come l'aspettano gli operai, anche quelli vecchi.

Aspettano tutti, quelli che sono scontenti

e quelli che riflettono.

Aspettano che una forza si sollevi,

qualcosa di cui far parte,

una sorta di nuova internazionale,

che non commetta più gli errori di quelle trascorse –

la possibilità di farla finita una volta per tutte con il passato.

 

E che qualcosa di nuovo cominci.

 

NOI ABBIAMO COMINCIATO. 

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Perle di saggezza…

"Nella vita c'é chi ha scelto di fare lo sbirro,

e chi ha scelto di fare il bandito!"

 

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La pace é guerra

http://www.youtube.com/watch?v=KbMY5wpzZDI

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Frammenti di memoria #9

A tutti i contadini e gli operai dell'Ucraina – Gennaio 1920

Da trasmettere per telegrafo, telefono e per vie postali a tutti i villaggi, le città, i distretti e le province dell'Ucraina. Da leggersi nelle assemblee di villaggio, di fabbrica, di officina.

Fratelli lavoratori! L'esercito rivoluzionario degli insorti ucraini (machnovisti) è stato istituito come atto di protesta contro l'oppressione di operai e contadini da parte delle autorità della borghesia terriera da una parte, della dittatura bolscevico-comunista dall'altra. Postasi come obiettivo la lotta per la completa liberazione dei lavoratori dell'Ucraina da questa o quella forma di potere e per la creazione di un vero ordine socialista sovietico, l'esercito degli insorti machnovisti ha tenacemente combattuto su molti fronti per raggiungere questi scopi e, nel momento attuale, per portare a termine la lotta contro l'esercito di Denikin, liberando un distretto dopo l'altro da ogni potere e organizzazione coercitivi.

Molti contadini ed operai hanno chiesto: cosa accadrà ora? Cosa bisogna fare? Come risponderemo ai decreti delle autorità che abbiamo scacciato? ecc. Il congresso pan-ucraino degli operai e dei contadini, che si riunirà immediatamente, appena gli operai e i contadini saranno in grado di prendervi parte, fornirà a questi quesiti una risposta definitiva. Il congresso discuterà e prenderà decisioni riguardo a tutti i problemi urgenti concernenti la vita degli operai e dei contadini.

In considerazione del fatto che presto si riunirà questo congresso, l'esercito degli insorti machnovisti ritiene necessario rendere pubblico la seguente dichiarazione concernente i problemi di cui sopra:

1. Tutti i decreti dell'esercito (volontario) di Denikin vengono immediatamente aboliti. Vengono parimenti aboliti tutti quei decreti delle autorità comuniste che si rivelano in conflitto con gli interessi degli operai e dei contadini.

Nota: A quest'ultimo riguardo, saranno gli stessi lavoratori, nelle loro assemblee di villaggio, fabbrica e officina, a decidere quali dei decreti delle autorità comuniste li danneggiano.

2. Tutte le terre della nobiltà, della chiesa e degli altri nemici dei lavoratori, con tutto il bestiame e le attrezzature, devono essere trasferite ai contadini, che vi ricaveranno di che vivere esclusivamente con il loro lavoro. Il trasferimento avverrà in modo alternativo e organizzato, secondo le decisioni prese dalle assemblee contadine, che devono considerare non solo i propri interessi particolari, ma in genere gli interessi comuni a tutta la classe oppressa dei lavoratori agricoli.

3. Le fabbriche, le officine, le miniere e tutti gli altri mezzi di produzione devono divenire proprietà esclusiva della classe operaia, che attraverso i sindacati assumerà la gestione di tutte le imprese, riprenderà la produzione e cercherà di collegare tutta l'industria del paese in un'unica organizzazione unitaria.

4. Si propone che tutte le organizzazioni operaie e contadine inizino a creare liberi soviet, che dovranno essere composti esclusivamente da lavoratori impegnati in qualche forma di attività necessaria all'economia nazionale. I rappresentanti delle organizzazioni politiche non dovranno trovare posto alcuno nei soviet degli operai e dei contadini, perché la loro partecipazione trasformerebbe questi ultimi in soviet dei rappresentanti di partito, il che potrà provocare solo la morte del sistema dei soviet.

5. L'esistenza della  Ceka, dei commissari di partito e di altre simili istituzioni coercitive, autoritarie e disciplinari non è ammissibile tra gli operai e i contadini.

6. La libertà di parola, di stampa, di riunione, di unione sindacale sono diritti inalienabili di ogni lavoratore ed ogni limitazione di questi diritti rappresenta un atto controrivoluzionario.

7. Le milizie di stato, le polizie e gli eserciti vengono aboliti seduta stante. Al loro posto, il popolo organizzerà le proprie unità di autodifesa. L'autodifesa dev'essere organizzata solamente dagli operai e dai contadini.

8. I soviet degli operai e dei contadini, le loro unità di autodifesa e i singoli operai e contadini non devono permettere il verificarsi di manifestazioni controrivoluzionarie ad opera della borghesia o degli ufficiali militari. Né devono consentire che si sviluppi il banditismo. Chiunque verrà giudicato colpevole di atti controrivoluzionari o di banditismo verrà fucilato sul posto.

9. La valuta dei soviet e ucraina dev'essere accettata come qualsiasi altra valuta. Chi contravverà a questa regola subirà una punizione rivoluzionaria.

10. Lo scambio di beni e di prodotti, finché non sarà sottoposto al controllo degli operai e dei contadini, rimarrà libero. Proponiamo, tuttavia, che esso avvenga prevalentemente tra lavoratori.

11. Chiunque tenti di ostacolare la diffusione di questa dichiarazione sarà considerato un controrivoluzionario.

 

CONSIGLIO MILITARE RIVOLUZIONARIO E STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO RIVOLUZIONARIO DEGLI INSORTI UCRAINI (MACHNOVISTI), 7 gennaio 1920

http://www.socialismolibertario.it/makhmo4.htm

http://www.socialismolibertario.it/makhno3.htm

http://www.socialismolibertario.it/lenin_e_il_leninismo.htm 

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Dadaismo insurrezionale

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